Il popolo etrusco e l'Italia
… essi raccontano che sotto il regno di Atis, figlio di Mane, si diffuse una carestia in tutta la Lidia. I Lidi per un certo tempo persistettero nella loro vita. Il re divise tutto il popolo dei Lidi in due gruppi, e sorteggiò quello che doveva rimanere e l’altro che doveva lasciare il paese. A capo del gruppo in partenza mise il proprio figlio Tirreno… Gli uomini designati scesero a Smirne, costruirono navi e salparono, finché oltrepassati molti popoli, giunsero al paese degli Umbri…”
E' in questo modo che, secondo Erodoto, il misterioso popolo degli etruschi è giunto sulle nostre coste creando quella civiltà grandiosa quanto ancora sconosciuta che fiorì in Italia tra l’VIII e il I secolo aC. e che poi iniziò a subire un lento ed inesorabile declino fino a confondere i propri usi e la propria civiltà con la nascente potenza di Roma.
Per tutto il periodo del loro dominio sull’Italia centrale essi furono una grande potenza politica, culturale e sociale, anche se, come le stesse città greche, non svilupparono mai l’idea di un potere centrale forte o un concetto di popolo comune o nazione e per questo si piegarono alla romanità.
Senza incontrare una qualche opposizione organizzata l’influenza etrusca si estese lungo un’ipotetica linea longitudinale che saliva a nord, attraverso l’Appenino tosco-emiliano, raggiungeva la pianura Padana (testimonianze di civiltà che si possano ricondurre al mondo etrusco sono state trovate nella zona di Bologna, Spina, Marzabotto) e scendeva verso sud, lungo il versante tirrenico, fino in Campania.
Al culmine della loro potenza, attorno al VI secolo aC occuparono i porti della Corsica diventando padroni del Tirreno, stringendo alleanze sia con i Cartaginesi che con i Greci dell’Italia meridionale.
La vita politica della nazione etrusca si poggiava su un sistema di stati indipendenti facenti capo a quelle città che erano diventata preminenti per ricchezza e prestigio, dodici città-stato con propri sistemi di gestione politica, commerciale e culturale. Gli storici tendono a pensare che anche la politica estera fosse decisa dalle città in modo autonomo.
Dalla seconda metà del V secolo lo scenario mutò radicalmente: mentre la civiltà delle città etrusche giungeva al suo massimo splendore, le città greche dell’Italia meridionale iniziarono ad espandersi, sia economicamente, sia culturalmente. Inevitabilmente la nazione etrusca si dissolse, perdendo dapprima il primato sul mare e sui commerci, ora diviso con le città della Magna Grecia, e cedendo infine alla predominanza di Roma, che nella sua ascesa piegò tutte le popolazioni italiche.
Certamente, pur smettendo di esistere come realtà propria e a se stante, insegnarono molto ai loro conquistatori: l’ingegneria, i metodi di coltivazioni dei campi, i primi concetti idraulica, la fusione dei metalli e senza dubbio, il gusto e l’amore per l’arte e per il bello. I popoli finirono con il fondersi insieme, i culti antichi, la religione si mescolò diventando una sola e anche la triade del romano ricorda le tre divinità del mondo etrusco: Tinia (Giove), Uni (Giunone), Menerva (Minerva).
Delle grandi città che crearono, come Tarquinia e Vulci, dei centri di difesa, arroccati su bastioni di tufo, della delicatezza della loro arte, che molto si avvicina alla sensibilità greca ed orientale per la bellezza, del fascino della loro religione poco ormai ci rimane. Lo spirito etrusco aleggia nelle città abbandonate e nelle vaste necropoli silenziose, contrapposizione nell’aldilà dello spirito eterno della vita, tra le acque del mare, cui diedero il nome, emergono i porti e le antiche rotte delle navi mercantili.
Ancora, in questa parte di terra tra due mari, ride l’Etrusco, coricato, con gli occhi a fior di terra, guardando la marina…
- Nessun commento trovato
Commenti